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QUANDO IL MOBBING SUL LAVORO SI TINGE DI ROSA
Cosa è il mobbing. Tipologie di mobbing: mobbing verticale, mobbing orizzontale e mobbing ascendente. La responsabilità del datore di lavoro. Quando si ha diritto al risarcimento del danno. Le donne nel mondo del lavoro e il mobbing.
Casi particolari: il mobbing sulle donne in maternità e il mobbing sulle donne single. Il mobbing è donna?
Il datore di lavoro è tenuto a preservare “l’integrità fisica e la personalità morale” del lavoratore, pena il risarcimento dell’eventuale danno, anche non patrimoniale (art. 2087 cod. civ.). Il predetto obbligo è violato anche nelle ipotesi in cui il datore di lavoro attua il c.d. mobbing.
Il termine “mobbing” comprende tutte quelle condotte vessatorie, reiterate e durature, individuali o collettive, rivolte nei confronti di un lavoratore da parte di superiori gerarchici e/o colleghi, oppure anche da parte di sopposti nei confronti di un superiore.
Ai fini della configurabilità del mobbing è necessario che:
- siano stati posti in essere una serie di comportamenti di carattere persecutorio che, con intento vessatorio, siano rivolti contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo (Tribunale Genova, Sezione Lavoro, 8 giugno 2018, n. 845; Cass. civ. SU 4 maggio 2004, n. 8438);
- la volontà che lo sorregge sia diretta alla persecuzione o all’emarginazione del lavoratore (Corte d’Appello di Milano, Sez. I civile, 12 giugno 2017, n. 882) o sia diretta ad isolarlo (Tribunale di Milano, Sez. I civile, 26 giugno 2017, n. 1414) o, ancora, sia diretta a vessare e mortificare il lavoratore (Cass. civ. 5 novembre 2012, n. 18927);
- sussista il nesso causale tra la condotta lesiva e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità piscofisica e/o nella propria dignità (Cass. civ. 15 febbraio 2016 n. 2920; Tribunale Genova, Sezione Lavoro civile, 8 giugno 2018, n. 845).
Esistono diverse tipologie di mobbing:
1. dal basso: chi attua il mobbing è in una posizione inferiore rispetto a quella della vittima (es. l’autorità di un capo viene messa in discussione da uno o più sottoposti;
2. mobbing gerarchico: chi attua il mobbing è in una posizione superiore rispetto alla vittima (es. un dirigente, un capoufficio, un caporeparto);
3. bossing: l’attività è posta in essere da un superiore al fine di costringere un dipendente alle dimissioni;
4. mobbing orizzontale: è quello praticato da parte dei colleghi verso un lavoratore che ricopre lo stesso livello.
Il datore di lavoro è responsabile per i comportamenti “mobbizzanti”:
-da egli stesso realizzati in modo doloso, con la specifica intenzione di discriminare e vessare il mobbizzato (Tribunale Roma, 28 marzo 2003);
- posti in essere da altro dipendente (o in generale dai colleghi) ove il datore di lavoro sia rimasto colpevolmente inerte.
In ogni caso è necessario provare il nesso causale tra la condotta datoriale, anche omissiva, e l’asserito danno.
In caso di mobbing accertato il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno.
Il mobbing è un fenomeno che riguarda indistintamente uomini e donne, ma colpisce in misura maggiore le donne.
Il mobbing attuato nei confronti delle donne è sia di tipo fisico che di tipo psicologico.
In genere, l’autore del mobbing di tipo fisico necessita di un luogo appartato per compiere la sua violenza: i casi più frequenti sono quelli del capo che convoca la lavoratrice proponendo “coattivamente” atti a sfondo sessuale, ricorrendo a ricatti più o meno espliciti relativi al rapporto di lavoro (es: minaccia di licenziamento), nel caso del lavoratore di pari grado, il mobbing viene perpetrato prevalentemente attraverso insulti tendenti ad isolare e mortificare la vittima.
Come detto, il mobbing può essere anche di tipo psicologico.
Non mancano, infatti, i casi in cui l’attività lavorativa della donna viene sistematicamente svalutata e tale svalutazione a volte è accompagnata da sanzioni disciplinari, richiami e demansionamento spesso come forma di ritorsione a seguito di assenza per malattia. Nell’ambito dei comportamenti mobbizzanti va annoverata la discriminazione verso le donne in maternità o madri di bambini piccoli.
Purtroppo capita ancora molto spesso che al rientro al lavoro dalla maternità la donna venga messa in un angolo e mortificata a livello professionale, che non venga più considerata all’altezza di ricoprire determinati ruoli per la sua nuova situazione familiare e che inizi a subire delle pressioni dal datore di lavoro finalizzate a farle abbandonare volontariamente il posto di lavoro.
Infatti, spesso la neo mamma si trova a dover far fronte a situazioni spiacevoli al suo rientro in ufficio, come, ad esempio, quella di non avere più uno specifico ruolo all’interno dell’organizzazione aziendale.
La discriminazione, a volte, nasce ancor prima di iniziare a lavorare. Molte volte nel corso di un colloquio di lavoro la donna si sente domandare se è sposata o se intende avere figli a breve.
Il mobbing è trasversale in quanto riguarda tutte le donne, anche quelle che ricoprono ruoli di responsabilità, le quali sono costrette a ritmi di lavoro massacranti anche al termine della gravidanza, spaventate dal pensiero di dover cedere il loro incarico ad un sostituto per godere dei mesi di congedo con la preoccupazione e il rischio di non ricoprire più lo stesso ruolo al rientro.
Il mobbing è “democratico” in quanto riguarda in pari misura sia le donne in maternità sia le donne “senza famiglia”.
Infatti, si parla spesso di mobbing ai danni delle lavoratrici madri ma esiste anche un altro tipo di mobbing, forse meno noto: è il mobbing a danno delle donne lavoratrici single. Le donne single o comunque “senza famiglia” spesso sono costrette a prendere le ferie nei periodi più scomodi, in quanto le ferie nei periodi coincidenti con le vacanze scolastiche vengono concesse alle donne madri.
Spesso il mobbing ai danni della donna single viene esercitato mediante pressioni psicologiche che assumono la veste di richieste fatte a titolo di “favore personale”.
La donna single sul lavoro in molti casi viene vista come un’avversaria sia dai colleghi che dalle colleghe con famiglia, che spesso la considerano “un’avvantaggiata”.
A volte il carico di lavoro viene ridistribuito a discapito della donna single, dalla quale si pretende più tempo e disponibilità, come se il tempo di una donna libera avesse meno valore del tempo di una donna con famiglia, ma ciò è la conseguenza di un retaggio culturale che vede ancora la donna come “moglie” e “madre”.
Gli esempi appena fatti, riguardanti il mobbing ai danni della donna in maternità e il mobbing ai danni della donna single purtroppo non esauriscono la casistica del mobbing perpetrato verso le donne.
Le donne stanno entrando sempre più numerose nel mercato del lavoro, ma vivono ancora situazioni di svantaggio rispetto agli uomini; pertanto, il mobbing attualmente può essere considerato una violenza di genere, perché praticato nella maggior parte dei casi da uomini nei confronti delle donne.
Il mobbing, o comunque la violenza sul posto di lavoro, è dunque donna?
Un po' di numeri:
-1 milione 403 mila donne fra 1 15 e i 65 anni hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro;
-1 milione 173 mila donne fra i 15 e i 65 anni hanno subito ricatti sessuali sul posto di lavoro nel corso della loro vita lavorativa,
Nel 2002 si era registrata una diminuzione rispetto al 1997-1998.
Nel 2008-2009 la situazione è rimasta sostanzialmente costante.
Nel 2015-2016 emerge di nuovo un aumento dei ricatti sessuali, mentre negli ultimi tre anni il dato è stabile.
Questi i dati resi noti dall’Istat nel 2018.
A Voi “l’ardua sentenza”.